Seminario: “La tua casa è dove sei”
Abbiamo accolto l’invito da parte della Comunità Montana Valsassina Valvarrone Val d’Esino e Riviera, ente gestore del Progetto Sprar “Lecco: una provincia accogliente”, a partecipare al seminario “La tua casa è dove sei” organizzato dal Politecnico di Milano in collaborazione con il Comune di Lecco, lo SPRAR, Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, e con il supporto dello I.E.P. – Istituto Europeo di Psicotraumatologia e Stress Management per l’inaugurazione del progetto “E/MIGRATE: centri storici solidali. Il recupero del patrimonio culturale per un’accoglienza sostenibile.”
Abbiamo portato le testimonianze sul tema dell’abitare di tre richiedenti asilo ospitati nel centro da noi gestito e che accoglie famiglie e donne sole con e senza bambini, li abbiamo supportati nel riflettere sull’abitare in un luogo, un luogo che può divenire casa e, quindi, un luogo di vita.
Per Favour, nigeriana con la sua bambina Gift, la casa significa sicurezza e sopravvivenza.
Ci racconta che abitava in un villaggio chiamato Eubeligun nell’Edo State. Un villaggio fatto di case in mattoni, la sua aveva cinque stanze e ci vivevano cinque persone. Le strade erano di terra battuta, c’era sempre tanta gente per strada che si muoveva o a piedi o in motocicletta. I negozi erano subito all’esterno del “centro storico”.
Alla domanda che casa vorresti per il futuro, ci risponde che le piacerebbe avere un appartamento in condominio perché si sentirebbe più sicura, in quanto in Nigeria le case hanno solo la porta, mentre qui hanno cancello, cancelletto e porta, che sarebbe positivo per lei essere circondata da altre persone e che la sua stanza preferita è il soggiorno, perché si sta tutti insieme.
Quando le chiediamo cosa si aspettava dall’accoglienza italiana ci dice che non sapeva cosa aspettarsi, non immaginava dove sarebbe potuta andare ad abitare, ma che è contenta perché ha finalmente una stanza tutta per sé, un letto solo per lei e del cibo.
Monday e Peace sono una giovane coppia nigeriana e per loro la casa è il posto dove vivono le persone di una famiglia. In Nigeria abitavano in otto in una grande casa con quattro camere da letto, ognuna con il suo bagno e al centro fra le camere un bel soggiorno. Abitavano in un complesso residenziale nella periferia di Benin City. La casa era tutta su un piano e all’ultimo piano di una casa a due piani. Chiudendo gli occhi e ricordandosi dove vivano ci raccontano che la strada di fronte a casa loro era in terra battuta ed era una secondaria di una strada principale importante asfaltata. Vicino avevano: un grande mercato all’aperto, un ospedale pubblico e una grande scuola privata.
Per loro la parola chiave legata al concetto di casa è confortevole. Qualsiasi casa per loro ora andrebbe bene, in realtà vogliono la casa che si potranno permettere in base allo stipendio che avranno.
La stanza più importante per loro è il soggiorno, che è come un biglietto da visita e deve essere sempre pulito ed ordinato.
Anche loro non avevano idea di cosa aspettarsi dall’accoglienza italiana e, quindi, non sapevano dove sarebbero andati a stare ed abitare. Non conoscevano l’Italia e, quindi, pensavano solo di andare a vivere in pace, solo sulla nave dalla Libia all’Italia qualcuno ha riferito loro che avrebbero trovato un posto sicuro, con vestiti e cibo.
Un aneddoto interessante che potrebbe portare a una riflessione è legato all’esercizio condotto da due ricercatori dell’I.E.P. e somministrato a tutti i partecipanti alla mattinata. Si trattava di ricordare il “luogo sicuro”, dove ci si rifugiava da bambini, quando si era spaventati o tristi, oppure quando semplicemente si desiderava stare “in pace” a fantasticare. Alcuni dei partecipanti hanno citato un albero, una magnolia, un nocciolo, loro hanno faticato un po’ a capire il senso del gioco e poi ci hanno detto: “Non ci sono alberi da noi, se avevi la tua camera stavi lì, altrimenti in strada in mezzo agli altri bambini!”. L’integrazione può passare, quindi, anche dai ricordi e dalla reciproca conoscenza degli ambienti a noi familiari.