Rifugiato = Migrante ?
L’esperimento del giorno è stato quello di scrivere su Google Immagini la parola rifugiati e vedere che risultati visivi ne emergevano e poi fare lo stesso con la parola migranti. Cosa ne è risultato? Insiemi di immagini molto simili: barconi carichi, persone sedute ad aspettare, bambini in braccio e mani che si tendono. Quindi cosa cambia tra gli uni e gli altri? Proviamo a rispondere citando una fonte autorevole come l’UNHCR in materia di flussi migratori.
I due termini non sono intercambiabili, ognuno di loro ha un ben preciso significato e determina una specifica connotazione. L’essere rifugiati assegna uno status legale con derivanti misure di protezione stabilite dal diritto internazionale; sono persone prive della protezione del proprio paese d’origine a causa di persecuzioni, conflitti, violenze o altre circostanze che minacciano l’ordine pubblico. Gli Stati hanno la responsabilità primaria di fornire loro protezione in base alle pietre miliari giuridiche della moderna protezione dei rifugiati e cioè la Convenzione di Ginevra del 1951 e il relativo Protocollo del 1967, nonché la Convenzione dell’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana) che disciplina gli aspetti specifici dei problemi dei rifugiati in Africa. Ricordiamoci anche dell’articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che afferma il diritto di ciascun individuo di chiedere e beneficiare dell’asilo.
Art. 33 Divieto d’espulsione e di rinvio al confine
1. Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.
2. La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese.
La parola migrante non ha una definizione giuridica uniforme e convenzionalmente si presume che un migrante emigri volontariamente, sappiamo, invece, dalle testimonianze raccolte che non c’è mai un solo fattore che porta ad emigrare, ma sovente un mix di motivazioni che comprendono: ricerca di opportunità di lavoro, miglioramento delle proprie condizioni di vita, motivi di studio, ricongiungimenti familiari, fuga dalle conseguenze di disastri naturali, da carestie, da povertà estrema, da violazioni dei diritti umani per via di svariate forme di sfruttamento. In questo contesto si annidano anche le vittime della tratta di esseri umani, che tendenzialmente non possono essere considerate come richiedenti asilo, ma che devono essere protette e non rinviate verso il Paese d’origine per ovvie ragioni; per far ciò i giuristi applicano su di esse un pool di leggi attingendo sia dal diritto d’asilo sia dalle leggi che disciplinano la protezione dalla tratta.
Quindi, tornando alle nostre coste e ai nostri confini, chi sono le persone che sono entrate nel nostro Paese? Rifugiati o migranti? In realtà sono entrambi! L’UNHCR usa “rifugiati” intendendo persone che fuggono da guerre o persecuzioni attraversando un confine internazionale e usa “migranti” per quelle persone che si spostano per motivi non compresi nella definizione giuridica di rifugiato.
Un’importanza da sottolineare è come gli Stati ospitanti applichino la condizione del diritto d’asilo. Cosa significa? Prendiamo in esame l’Europa. È storicamente accertato che i paesi del nord Europa utilizzino l’asilo politico come strumento di selezione dei migranti in ingresso: hanno la possibilità di concedere a molti l’asilo, ma limitano l’accesso ai migranti economici. Ecco perché in Svezia sono presenti soprattutto comunità somale, irachene e siriane. Al contrario i paesi del sud Europa sono più restrittivi nel concedere l’asilo, ma più lassisti nella differenziazione tra rifugiato e migrante economico.
Fondamentalmente le parole rifugiato e migrante potrebbero essere viste come delle etichette, in quanto dovremmo concentrarci sulle storie delle persone: partono, si fermano, ripartono, lavorano, partono nuovamente. Nel mezzo vi sono momenti difficili e momenti di sollievo, situazioni inumane, come quelle descritte in Libia e persone di supporto che arrivano e ti tendono una mano. A volte è vero, raccontano delle storie, ma semplicemente per poter non riattraversare la frontiere e potersi costruire un’alternativa. Vediamo allora persone che si costruiscono con forza e tenacia una vita e se hanno quel pizzico di forza e capacità in più delineano un progetto, come quelli raccontati del docufilm “Strane Straniere” di Elisa Amoruso, che ha intrecciato le storie di Sonia, Sihem, Radi, Ana e Ljuba per raccontare un ritratto delle donne straniere che lavorano in Italia. C’è poi anche chi torna indietro, perché il suo paese non è per lui una minaccia: all’inizio magari il tornare viene percepito come un fallimento del progetto familiare, ma poi c’è chi grazie a diversi supporti riesce a costruirsi un futuro in Patria. Come Fresnellia e la sua storia raccontata da Agribusiness TV: la creazione dell’impresa “Les Jus Freshy“, specializzata nella produzione di succhi con frutta locale nella Repubblica del Benin, stato dell’Africa occidentale.
Non giudicare ogni giorno dal raccolto che raccogli, ma dai semi che pianti.
∼ Robert Louis Stevenson
Sitografia: