Parola di mamma!
La mia esperienza con Salim ed Abeba è “una cosa di pancia”, quando ho visto a scuola questa bambina completamente impossibilita a comunicare con tutti ho avvertito una sensazione di disagio che mi ha letteralmente travolto, ho dovuto fare qualcosa e all’inizio non è stato facile.
Non sapevamo nulla di lei ed avevo paura di combinare pasticci, ma con un po’ di aiuto sono riuscita a trovare una signora che parla tigrino, questo è stato il primo passo per poterci avvicinare un po’, non scorderò mai il sorriso che ha fatto quando l’ha sentita parlare nella sua lingua.
Da lì abbiamo iniziato a portare Salim ogni giorno a scuola e questo ci ha permesso di conoscerci un po’ di più.
Ora sono passati un po’ di mesi e per noi Salim è una di casa, ancora fatichiamo a comunicare, ma penso che si sia instaurato un buon rapporto di fiducia, lei sembra contenta quando sta con i miei figli e la vedo ogni giorno più serena e sicura anche a scuola.
Prima di Natale abbiamo anche pranzato insieme con il gruppo dell’Eritrea accolto da Progetto Itaca: è stato un inizio, troppo poco per creare confidenza, ma sicuramente molto piacevole. Avrei fatto loro mille domande, per capire meglio, ma non è così semplice, eravamo due culture completamente diverse sedute allo stesso tavolo che cercavano disperatamente un punto di incontro.
Mi piacerebbe fare di più, ma forse questo fa solo parte della mia frenesia da occidentale…