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Abeba va in Olanda.

La prima relocation in Progetto Itaca.
17
Mar

Abeba va in Olanda

Mamma, Donna, Eritrea con due bambine Salim e Lidia al seguito.
Una convinzione da perseguire: arrivare in Olanda per ricongiungersi al fratello da tempo residente nella terra dei tulipani.
Una procedura da seguire: la relocation.

Di cosa stiamo parlando? Relocation, in italiano ricollocazione.

Andiamo con ordine, partiamo dall’inizio e, cioè, dal 2015 quando fu emanata dalla Commissione Europea l’Agenda sulla migrazione, che ebbe come punto centrale l’attuazione dell’approccio hotspot con la conseguente adozione di un sistema di ricollocazione d’emergenza, la relocation per l’appunto.

Gli hotspot sono centri per l’identificazione con rilevazione delle impronte digitali di rifugiati e migranti appena arrivati, di solito portati sulla costa dopo operazioni di ricerca e soccorso in mare; lo screening al fine dell’esame delle richieste d’asilo o del rimpatrio e la prima assistenza. Attraverso l’acquisizione delle impronte digitali  si desidera diminuire drasticamente i movimenti secondari dei migranti e, cioè gli spostamenti verso altri stati membri dell’UE, secondo i dettami del Regolamento Dublino III, che assicura la possibilità di un rinvio verso il Paese di primo ingresso. Per ridurre il peso che grava su questi stati (attualmente Italia e Grecia) a settembre 2015 è stato adottato il sistema della relocation, che prevede il trasferimento progressivo di circa

160mila richiedenti asilo

(di cui 40mila dall’Italia) – una porzione minima degli arrivi – verso altri paesi Ue entro settembre 2017, per esaminare lì le loro richieste d’asilo. Controllo  e condivisione delle responsabilità erano allora le parole chiave.

La relocation rappresenta una sorta di correttivo dell’art. 13 al capo III di Dublino III, sulla base del quale Italia e Grecia sarebbero gli stati competenti all’esame delle domande d’asilo, in quanto paesi di “primo ingresso” dell’Unione. Possono, però, essere ricollocate solo le persone la cui nazionalità ha un tasso medio di riconoscimento di protezione internazionale a livello europeo superiore al 75% sulla base dei dati Eurostat dell’ultimo quadrimestre. La lista delle nazionalità viene aggiornata ogni tre mesi dall’Easo (European asylum support office) e al 26 settembre 2017 registrava Eritrea, Bahamas, Bahrain, Bhutan, Qatar, Syria, United Arab Emirates e Yemen.

Numeri nazionalità registrati negli hotspot italiani.

Fonte: Dip. per le libertà civili e l’immigrazione – Ministero dell’Interno

Informandoci sulla reale composizione degli attuali flussi migratori verso l’Europa notiamo subito la limitazione della procedura: infatti, prendendo come dato esemplificativo le nazionalità di sbarco registrate negli hotspot italiani, a fine 2016, capiamo che quella lista non include le più rappresentate tra coloro che approdano in Italia, ad esclusione degli eritrei.

Inoltre, questo criterio del 75%  esclude in partenza dal programma un grande numero di persone provenienti da paesi in guerra o sotto implacabili dittature, come ad esempio Iraq, Afghanistan, Somalia, Sudan, Nigeria, Gambia.

La procedura prevede:

  • che alle persone appartenenti alle nazionalità sopra citate venga fornita un’informazione mirata sulla relocation negli hotspot, con il sostegno dell’EASO e dell’UNHCR;
  • che vengano poi trasferite presso centri di accoglienza, sempre del Paese di primo ingresso, per formalizzare il modello C3 e relativi allegati;
  • che l’Unità Dublino e le autorità del Paese d’arrivo individuino il Paese di destinazione sulla base delle possibilità del candidato di integrarsi (vincoli culturali, capacità linguistiche, presenza di familiari, etc…) e sulla base delle quote di accoglienza messe a disposizione dagli Stati membri. Periodicamente, massimo ogni tre mesi, gli Stati di destinazione indicano il numero di richiedenti che possono ricollocare. Non è, quindi, la persona che richiede asilo a scegliere il Paese nel quale essere ricollocato. Questo si pone in contrasto con il diritto internazionale che sancisce la non obbligatorietà del richiedente asilo di fare domanda d’asilo in un paese specifico, al contrario egli ha il diritto di chiedere asilo in qualsiasi paese. Secondo il diritto Ue, invece, se ad una persona sono state rilevate in precedenza le impronte digitali in Italia, in seguito ogni altro paese europeo può rinviarla in Italia per l’esame della domanda d’asilo;
  • che gli Stati di partenza decidano quando e a chi inoltrare la domanda per ciascun richiedente identificato;
  • che il trasferimento verso gli stati di destinazione ricada sotto la responsabilità dell’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni);
  • che lo Stato di ricollocazione sia responsabile per l’esame della domanda di asilo.

In base alle normative, la procedura dovrebbe essere completata entro due mesi dalla conferma di ricollocamento dello Stato di destinazione.

I progressi.

Dopo un anno e mezzo pochi progressi sono stati fatti in materia di condivisione delle responsabilità: infatti, il programma di ricollocazione sta fallendo nel raggiungere l’obiettivo che il Consiglio Europeo aveva posto nel settembre 2016, ovvero 39.600 persone ricollocate dall’Italia verso l’Ue entro il 26/09/2017. Il problema di base è che gli Stati membri rifiutano di attenersi alle quote bassissime delle ricollocazioni obbligatorie e quando lo fanno sono estremamente lenti nell’accogliere i richiedenti asilo dall’Italia.

I numeri della relocation non decollano.

*Fonte: 8° rapporto su relocation e resettlement – Commissione Europea

 

Visti i dati scoraggianti, la Commissione Europea ha prefigurato un nuovo obiettivo stabilito sulla base di una rimozione graduale degli ostacoli alla ricollocazione e ad un’intensificazione dell’impegno da parte degli Stati membri:

“tutte le persone qualificate per la ricollocazione siano trasferite entro il mese di settembre 2017″ con un numero di 3.000 relocation al mese (2.000 dalla Grecia e 1.000 dall’Italia) da compiere a partire dal dicembre 2016 per evitare un'”accumulazione insostenibile di casi”. Tale obiettivo richiede che tutti gli Stati membri trasferiscano le persone su una “base mensile stabile”.
Notiamo la trasparenza dei numeri degli arrivi rispetto al numero di abitanti in UE.

Notiamo la trasparenza dei numeri degli arrivi rispetto al numero di abitanti in UE.

L’aspetto positivo che salta all’occhio sui numeri della relocation è che la distribuzione prevista per ricollocare 160.000 persone mostra quanto sarebbe semplice per l’Ue assorbire gli arrivi, se le persone fossero smistate in modo ragionevole: infatti, paragonando i numeri del 2016 l’Unione Europea contava, secondo stime Eurostat, 510milioni abitanti e, secondo dati Unhcr, sono sbarcate in Europa 361.678 persone (181.405 in Italia e 173.447 in Grecia).

 

È, quindi, condivisibile la riflessione di ADIF (Associazione Diritti e Frontiere):

Ciò significa che l’unico modo per sostenere che l’influsso attuale di cittadini extracomunitari sia una crisi, tale da generare emergenza, richieda che siano bloccati nel primo paese dal quale entrano, preferibilmente nelle regioni di sbarco, e che vengano evitati i “movimenti secondari” verso gli altri paesi membri.

La storia di Abeba.

Concludiamo, tornando alla storia di Abeba e alla sua relocation verso l’Olanda conclusasi positivamente. La procedura ha richiesto agli operatori di Progetto Itaca non poca fatica a contrastare i diversi rallentamenti burocratici incontrati: una volta terminato il C3, includendo svariati altri documenti come un certificato di buona salute, che non è semplice da ottenere vistoche le persone sono appena sbarcate e lo stato di salute può variare nell’attesa di una risposta da parte del Paese di destinazione, Abeba e le sue bambine hanno atteso per 6 mesi un contatto da parte degli organi competenti con la risposta alla loro richiesta.

L’OIM ha contattato Progetto Itaca e allora Abeba, Salim e Lidia hanno viaggiato fino a Roma in treno, dove hanno ricevuto una formazione sulle leggi e sulla convivenza civica in Olanda per poi essere imbarcate su un volo diretto verso la loro destinazione. Abeba è arrivata in Italia su di un barcone nell’agosto 2016 e ha subito formulato domanda di ricollocazione, facendo notare che in Olanda vi è un fratello che può supportarla e ospitarla. È scappata dall’Eritrea, dove non era più sicuro far crescere la sue bambine, anche se ne ha dovuta lasciare lì una terza, un po’ più grandicella, insieme alla nonna, con la quale spera di ricongiungersi il prima possibile. Non possiamo far altro che augurarle buona fortuna!

 

Ad oggi ospitiamo in Progetto Itaca 19 persone di nazionalità eritrea: 6 donne sole, 1 nucleo famigliare con un adolescente e un bambino, 3 nuclei familiari monoparentali con mamma e due bambine, mamma con una bambina e due maschietti e mamma con bambina. Nelle loro domande di relocation hanno evidenziato parentele in: Svizzera, Finlandia, Inghilterra, Germania, Svezia.

 

“Parlare di chi arriva come di “persone” – uomini, donne e bambini – è una misura necessaria di fronte al modo in cui i documenti istituzionali usano i termini “migrante” e “rifugiato”.
∼ ADIF – Associazione Diritti e Frontiere

Bibliografia:

  • Agenda europea sulla migrazione. Commissione Europea
  • Decisioni del Consiglio d’Europa sulla relocation: – 2015/1523 del 14/09/2015; – 2015/1601 del 22/09/2015
  • Roadmap Italiana. Ministero dell’Interno
  • Rapporto “Hotspot Italia come le politiche dell’Unione Europea portano a violazioni dei diritti di rifugiati e migranti”. A cura di Matteo de Bellis, Amnesty International

Sitografia:

 

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